È più facile lasciar girare un circolo vizioso che instaurarne uno virtuoso perché quest’ultimo richiede di ascoltarsi, azione che non è mai banale. La newsletter inizia così perché, lo avrete sicuramente letto, la parola del 2024 scelta dall’Oxford English Dictionary è stata “Brain rot”. Indica il deterioramento dello stato mentale o intellettuale di una persona, spesso considerato il risultato del consumo eccessivo di materiale (soprattutto contenuti online), ritenuto banale, poco stimolante, poco impegnativo. Il presidente dell’ Oxford Languages, Casper Grathwohl, ha chiarito: “Brain rot parla di uno dei pericoli percepiti della vita virtuale e di come stiamo usando il nostro tempo libero. Costituisce uno dei capitoli da affrontare nel dibattito culturale sul rapporto tra umanità e tecnologia. Non sorprende che così tanti elettori abbiano abbracciato il termine, sostenendolo come scelta di quest’anno”.
Rileggete questo virgolettato. In tanti l’abbiamo abbracciato, continua però a mancare consapevolezza e un’ educazione al digitale. La scelta di questo termine è senz’altro un ulteriore segnale di quanto internet e i social media stiano influenzando la nostra quotidianità - e plasmando il nostro cervello, vorrei soprattutto aggiungere. Abitiamo in un mondo dove la tecnologia è ovunque ed evolve rapidamente, ma il nostro cervello non è abituato a gestire una quantità di stimoli così alta con la velocità che ci viene richiesta. È anche per questo che spesso siamo affaticati cognitivamente, le ricerche scientifiche ce lo confermano da tempo: l’uso prolungato e intenso di internet sta riducendo la nostra materia grigia, diminuendo l’attenzione e indebolendo la memoria.
Qual è il tempo di utilizzo del nostro Iphone? Quante notifiche riceviamo tutti i giorni? Quante volte attiviamo gli schermi? Ciò causa una forte sovrastimolazione, e spesso, anche un senso di urgenza: se non controllo il telefono, sicuramente mi perdo qualcosa. Questo rischia di compromettere il nostro benessere e, talvolta, di farci ammalare.
Parliamo di tecnostress
Con i tantissimi device con cui abbiamo a che fare sia nella nostra vita lavorativa sia nel tempo libero, molto spesso si vengono a creare abitudini tali da rappresentare potenziali fattori stressanti. Come ci accorgiamo del sovra consumo di media digitali? Grazie alla nostra difficoltà nella gestione di questa sovrabbondanza e a un campanello d’allarme che si chiama stress. Nella fattispecie si parla di tecnostress che è causato da un utilizzo eccessivo e disfunzionale delle tecnologie. Partiamo dalla sua definizione: lo stress si manifesta quando le richieste provenienti dall’ambiente esterno superano le nostre risorse personali per farvi fronte. Quello digitale spesso origina dall’enorme quantità di comunicazioni e informazioni che dobbiamo costantemente filtrare e gestire, e dal punto di vista cognitivo, come abbiamo detto poco sopra, è uno sforzo per noi davvero importante.
Tutto ciò ha naturalmente delle ripercussioni sul piano psicofisico: si manifestano difficoltà di attenzione, agitazione, tensioni muscolari, disturbi del sonno, ansia. Nel 2007 il tecnostress è stato ufficialmente riconosciuto come malattia professionale, analizzare le cause e gli effetti sui lavoratori rientra dunque nell’obbligo di valutazione dei rischi previsti dal D.Lgs 81/08.
A fine dicembre l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato un decalogo per il nuovo anno all’insegna del benessere, e al primo posto per migliorare davvero la propria salute psicofisica raccomanda: uscire dalla dipendenza da smartphone. “Oltre il 5% della popolazione mondiale soffre di dipendenze comportamentali o da sostanze, con un impatto grave su salute e relazioni. Tra le dipendenze comportamentali, l’uso problematico dello smartphone colpisce oltre il 25% degli adolescenti, con effetti negativi su sonno, concentrazione e relazioni”, si legge.
Tramite il Centro nazionale Dipendenze e Doping, l’Iss ha consigliato una semplice ma concreta azione: definire una zona smartphone free a casa per favorire momenti di qualità e disconnettersi gradualmente. Si suggerisce di iniziare con piccoli passi come 30 minuti di pausa dal digitale al giorno, usando il tempo per altre attività che ci piacciono. L’obiettivo non è eliminare lo smartphone, ma acquisire più consapevolezza delle nostre abitudini digitali.
Il benessere digitale (digital wellbeing) è per definizione uno stato di benessere sperimentato attraverso l’uso sano della tecnologia. Come lo si instaura un rapporto sano? Cercando di privilegiare la qualità delle nostre attività con i device, rinunciando alla quantità. Per quanto riguarda la nostra presenza online sarebbe importante domandarsi: È tempo speso bene? Aggiunge valore alla mia quotidianità? Mi arricchisce? Proviamo a pensare a come ci sentiremmo se staccassimo per un po’ e ci allontanassimo dai nostri device (qualcuno lo chiamerebbe “digital detox”).
PASSAGGI LETTERARI 📚
Direttamente dal mio Kobo, un consiglio di lettura che desidero darvi è questo. Il giornalista Peter Laufer, nel suo celebre “Slow news”, ci suggerisce di rallentare per scegliere in maniera più critica su cosa porre la nostra attenzione; non solo per fronteggiare la disinformazione, le fake news, ma anche per le tantissime notizie con cui veniamo bombardati quotidianamente. Le ascoltiamo alla televisione e alla radio, le leggiamo sui siti dei quotidiani e scrollando le home dei social media; l’autore si domanda se abbiamo davvero bisogno di tutte queste notizie in tempo reale che appaiono soprattutto sugli schermi dei nostri smartphone, e la sua risposta è no.
Possiamo, anzi dobbiamo essere noi a decidere attivamente che cosa è importante sapere, in quale momento e da quale fonte. Siamo quelli che molto spesso scrollano il telefono anche mentre guardano una serie tv seduti sul divano, quindi ricordiamocelo: il nostro benessere passa anche da questo, dall’uso che facciamo di internet e dei device tecnologici.
Ciao! Grazie per gli spunti, condivido l’importanza di studiare e riflettere sulle dipendenze da internet, non mi torna il passaggio sulla riduzione della materia grigia però.
Il cervello umano ha raggiunto la sua attuale dimensione e struttura di base circa 200.000 anni fa, con l’emergere dell’Homo sapiens. Da allora, non ha subito cambiamenti significativi nelle dimensioni o nella struttura macroscopica. Certo, il cervello continua a evolversi funzionalmente e culturalmente attraverso l’adattamento alle condizioni ambientali e sociali e, negli ultimi 10.000 anni, si sono osservate alcune variazioni genetiche che influenzano la struttura cerebrale, come le mutazioni nei geni legati allo sviluppo del cervello (ad esempio, il gene ASPM, che influenza la dimensione della corteccia cerebrale). Ma “riduzione della materia grigia”? Mi interessa saperne di più, così sembra un danno strutturale irreversibile, se puoi citare la fonte mi vado a guardare la ricerca, ti ringrazio 🙏🏼