Sul concetto di autenticità e il tempo che passa
Questa newsletter inizierà con un aneddoto personale che mi aiuterà a introdurre l’argomento, e oggi, per la prima volta, verrà scritta a quattro mani insieme a un’ospite speciale: la dott.ssa Arianna Capulli psicologa psicoterapeuta a cui ho chiesto di portare il suo contributo e che ringrazio per aver accettato.
Qualche giorno fa mi trovavo da Sephora, mentre sbirciavo qua e là resto incuriosita da una maschera viso di cui avevo sentito parlare e che porta sulla confezione una frase con la scritta “youth preserve”. Io non subisco particolarmente il canto delle sirene del marketing, non mi attraggono le linee skincare delle influencer, difficile che compri qualcosa solo perché ha un packaging particolarmente carino e dai colori pastello e, soprattutto, so che non sarà una maschera viso a preservare la mia giovinezza. Non sono la cliente ideale di Sephora e la maschera non l’ho comprata; quella scritta però mi è restata appiccicata in testa: youth preserve.
Qualche giorno dopo, sempre in un contesto beauty/skincare, sento una ragazza pronunciare: “Questo prodotto serve per le micro rughe e micro lassità”. Anche questa frase mi ronza in testa, motivo per cui ho scritto ad Arianna: Ho l’argomento per la prossima newsletter, ti va di scriverla insieme? Gliel’ho chiesto perché questi due momenti mi hanno fatto pensare che forse ce le ho anche io queste cose, che non sono più giovane come credo di essere, io che sono certa di aver fatto la maturità l’altro ieri. Insomma, si è insinuato in me il dubbio che dovessi correre ai ripari. Io di anni ne ho trentatré.
Questo che vi lasciamo qui sopra è un video prodotto da Vox che indaga quanto e come la cultura del beauty, della bellezza, abbia un effetto su di noi.
Alla dott.ssa Capulli ho innanzitutto chiesto: Perché non si accetta l’età che passa? Perché è così difficile farlo?
Le possibili risposte a questa domanda considerano diversi punti di vista: biologico, cognitivo, culturale, sociale.
Accettare il tempo che passa non è facile perché, più in generale, non è facile accettare che il tempo che abbiamo è contenuto tra la nascita e la morte.
Il tempo della vita, citando Bergson, al contrario del tempo della scienza, è irreversibile. In laboratorio possiamo replicare, tornare indietro, fermare i processi. Non possiamo fare la stessa cosa con la nostra vita e, di questo, in qualche modo, ne abbiamo percezione. Siamo mente e percezione, ma siamo anche un corpo che, col tempo, si deteriora. Spesso si sente dire alle persone che preferirebbero morire anziché perdere la capacità di fare quello che sanno fare grazie al loro corpo che funziona e questo, dal punto di vista biologico, non è strano se consideriamo che trascorriamo gran parte della vita a imparare l’autonomia. La distorsione, sul piano cognitivo, sta nel pensare a cosa saremo o non saremo in grado di fare domani, coi bisogni di oggi. Il tempo che passa ci espone alla solitudine. La società in cui viviamo non sempre tutela i più fragili e sentirsi, per qualunque motivo, fragili, spaventa.
D: Come e quanto hanno contribuito i social e i filtri per modificare le foto nel processo di accettazione di Sé e del tempo che passa?
I social contribuiscono se, al momento della fruizione, si esclude la premessa: è perlopiù finzione e, quando s’avvicina alla realtà, è solo un piccolo frammento di quella realtà. Luigi Zoja, psicoanalista, sociologo saggista contemporaneo, ha scritto un libro dal titolo Vedere il vero e il falso, nel quale racconta l’invenzione della fotografia, accolta come l’avvento dell’informazione obiettiva; le ricostruzioni storiche fatte da Zoja evidenziano tuttavia come le prime e più famose foto, molte delle quali scattate in teatri di guerra, siano il risultato di artifizi. Il cambiamento di paradigma avvenuto, dapprima con la moda, poi con la chirurgia, poi con i filtri, oggi con la medicina estetica più le precedenti, riguarda soprattutto la perdita dell’idea di unicità dell’individuo, di bellezza soggettivamente percepita come tale. In generale, possiamo notare questa tendenza alla perdita dell’individualità in ogni ambito della nostra vita, anche nel modo in cui arrediamo le nostre case. Con la perdita dell’idea di unicità sono andati perduti anche i segni distintivi di ogni età che s’attraversa, per questo vediamo accedere alla medicina estetica ragazze adolescenti che a quel modello tentano d’uniformarsi.
Come sempre quando si parla dell’influenza che i social hanno sulle nostre vite, vanno considerate la disponibilità dei modelli e l’immediatezza delle soluzioni che propone. Disponibilità e immediatezza sono caratteristiche che appassionano il nostro cervello, nella gran parte dei casi danneggiandolo.
D: La costruzione della propria immagine corporea è un processo che dura per sempre? Quando vediamo cambiare il nostro volto e il nostro corpo con l’età, o anche con i cambiamenti durante la gravidanza, qual è il modo più sano per accettare la nuova immagine che si presenta allo specchio?
Più che la costruzione direi che l’unione con la propria immagine corporea è un processo lungo la vita, perché il corpo e la mente cambiano, s’adattano all’età, ai contesti, alle richieste esterne e a quelle interne.
Da sempre mi colpisce la tradizione giapponese che considera la menopausa (Konenki) una fase in cui finalmente la donna, divenuta saggia, può finalmente rifiorire, in forte contrasto con l’idea che abbiamo invece noi della menopausa, fase in cui una donna trascorre in media trent’anni della sua vita. Paradossalmente, abbiamo invece un’idea della gravidanza e del parto come di momenti idilliaci, sicuramente gioiosi, che sarebbe un peccato sporcare ammettendo di sentirsi in difficoltà e non è facile allontanarsi da quello che comunemente viene accostato a certi vissuti, ma possiamo prendere la decisione di farlo, anche quando costa fatica. Il vantaggio è la libertà d’essere autentici.
In generale, accettare il cambiamento significa realizzare che la vita è evoluzione e che non siamo solo quello che si vede nel tempo di una storia su Instagram, men che meno in una foto. Associare l’idea di valore personale (autostima) a ciò che vediamo allo specchio è farsi un torto, ignorando intanto tutto quello che quel corpo è chiamato a fare ogni giorno, ma soprattutto l’irripetibilità di quello che siamo. Se la società non premia il disinvestimento dall’apparenza (che, entro certi limiti, è certamente qualcosa da cui non possiamo prescindere), noi possiamo comunque scegliere di farlo, in favore di un atteggiamento più compassionevole nei nostri confronti.
Anche la dott.ssa Arianna Capulli cura una newsletter, si chiama Il giro del cingolo e ci si può iscrivere qui.
Il corpo è una delle parti di noi, ci rappresenta; società, media e web costringono a confrontarsi con modelli di bellezza e di successo sociale che non sono realizzabili perché finti, artefatti: qualcuno l’ha definita la società del narcisismo. Mi piace citare a questo punto la famosa attrice Anna Magnani, che disse:
“Ce metti una vita intera per piacerti, e poi, arrivi alla fine e te rendi conto che te piaci. Che te piaci perché sei tu, e perché per piacerti c’hai messo na vita intera: la tua. Ce metti una vita intera per accorgerti che a chi dovevi piacè, sei piaciuta… E a chi no, mejo così. Ce metti na vita per contà i difetti e riderce sopra, perché so belli, perché so i tuoi. Perché senza tutti quei difetti, e chi saresti? Nessuno. Quante volte me sò guardata allo specchio e me so vista brutta, terrificante. Co sto nasone, co sti zigomi e tutto il resto. E quando la gente me diceva pe strada “bella Annì! Anvedi quanto sei bona!” io nun capivo e tra me e me pensavo “bella de che?”. Eppure, dopo tanti anni li ho capiti. C’ho messo na vita intera per piacermi. E adesso, quando me sento dì “bella Annì, quanto sei bona!”, ce rido sopra come na matta e lo dico forte, senza vergognarmi, ad alta voce ‘Anvedi a sto cecato!’”.
Essere liberi nella propria autenticità, nella propria autentica bellezza. “Mi sento responsabile della bellezza del mondo” dice l’imperatore Adriano nel saggio di Margherite Yourcenar… ecco, proviamo ad avere cura della nostra autentica bellezza.
Alla prossima newsletter, dove parleremo di sport!